Cloud computing, geopolitica, timori legati alla territorialità dei dati, alla compliance normativa, alla security…

Il cloud spinge, forte, nel motore delle imprese italiane (i dati dell’Osservatorio Coud del Politecnico di Milano per il 2024 parlano di una crescita record, oltre il 20% mai sperimentata nemmeno nel pieno della pandemia, quando tutti eravamo appesi al cloud per “continuare”) ma oggi è un cloud diverso rispetto al passato. Intanto è multiplo, sono circa 7 i provider cloud diverso di cui mediamente si serve una azienda italiana, e poi è più territoriale, presente, prossimo.

Non è un caso che gli investimenti più importanti dei grandi provider internazionali (qui gli ultimi annunci di Microsoft) siano stati, negli ultimi anni, in data center sul territorio (qui i dati sui trend di investimento in Data Center in Italia). Ora però con l’avvento dell’amministrazione Trump e gli scossoni che ha determinato anche sullo scacchiere del mercato ICT qualche retropensiero sulla nazionalità dei servizi cloud a cui ci si rivolge sta sorgendo nella testa dei CIO e Ciso italiani ed europei.

Una serie di retropensieri che viene certificata da una recente e interessante inchiesta di TheRegister, una delle più informate e autorevoli testate ICT a livello continentali.

Una inchiesta che, raccogliendo voci dei più importanti analisti internazionali, prova a capire se il “public cloud” europeo sarebbe pronto ad accogliere, domani, una eventuale fuga delle imprese continentali dai grandi hyeprscaler USA.

Dazi Usa, Big Tech e dipendenza digitale: la sfida (urgente) dell’Europa

La volontà da parte delle organizzazioni europee di emanciparsi dai colossi americani del cloud come Amazon Web Services (AWS), Microsoft Azure e Google Cloud, spiega il report, si scontra con una realtà fatta di ostacoli strutturali e tecnici apparentemente insormontabili. Secondo gli analisti di settore, l’idea di svincolarsi dalla dipendenza dagli hyperscaler statunitensi appare oggi poco realistica, soprattutto per la carenza cronica di infrastrutture locali.

L’interesse crescente per la sovranità digitale è alimentato anche da recenti sviluppi politici negli Stati Uniti, che hanno sollevato interrogativi sulla sicurezza dei dati e sulla necessità per l’Europa di riappropriarsi del controllo sulle proprie risorse digitali. Tuttavia, un documento interno della Commissione Europea – anticipato da Politico – riconosce che una separazione netta dai fornitori americani non è un obiettivo concretamente raggiungibile. Il rapporto, che dovrebbe essere pubblicato all’inizio di giugno come parte della Strategia Digitale Internazionale per l’Europa, evidenzia che la cooperazione con i grandi player statunitensi resterà comunque centrale.

Chi comanda sul mercato del Cloud Computing

La realtà del mercato conferma questa visione: AWS, Microsoft e Google controllano insieme oltre il 70% del mercato del cloud pubblico in Europa (qui una guida ai servizi cloud e su come sceglierli). Steve Brazier, ex CEO di Canalys e oggi membro di Informa, sottolinea come il rimpatrio dei dati su cloud europei, o persino on-premise, sia teoricamente possibile ma praticamente quasi impossibile. Le barriere, infatti, sono numerose e si accumulano rapidamente.

Una delle difficoltà principali è la forte specializzazione degli ingegneri europei sulle piattaforme americane. Cambiare ecosistema significherebbe dover imparare da zero nuovi strumenti, un’idea poco attraente per molti professionisti. A ciò si aggiunge la questione della capacità: spostare l’intero volume di dati aziendali verso cloud pubblici europei richiederebbe almeno vent’anni, secondo Andrew Buss, Senior Research Director di IDC, anche solo per raggiungere la capacità necessaria oggi – senza contare le esigenze future legate a workload innovativi come l’Intelligenza Artificiale generativa.

Anche i recenti impegni digitali di Microsoft in Europa riflettono un tentativo di rispondere alla crescente richiesta di sovranità digitale da parte delle imprese. Tuttavia, per Buss non si tratta tanto di una fuga di massa dagli hyperscaler, quanto della consapevolezza dell’importanza crescente di infrastrutture locali per affrontare le esigenze normative e operative dei clienti europei.

Il divario tra le piattaforme mature e globali dei colossi americani e le offerte dei provider locali è enorme. John Dinsdale di Synergy Research Group evidenzia come solo i big – e in parte anche Oracle – possiedano una rete europea capillare e una gamma completa di servizi cloud, in grado di soddisfare le esigenze complesse delle grandi aziende multinazionali. La maggior parte dei provider europei, al contrario, opera in nicchie specifiche, spesso legate a un singolo servizio o a una particolare area geografica.

Inoltre, molte delle offerte locali si basano comunque su infrastrutture americane. Anche quando un’organizzazione sceglie un provider europeo, non è raro che dietro le quinte ci siano tecnologie di Amazon, Microsoft o Google. L’assenza, in passato, di un progetto europeo di pari ambizione ha reso oggi molto difficile colmare il divario competitivo.

Cloud computing, una concentrazione schiacciante

La concentrazione del mercato cloud globale è schiacciante: secondo Gartner, le aziende statunitensi rappresentano circa l’84% del business totale. Joe Rogus, direttore di Gartner, spiega che molti provider regionali non possono competere in termini di visione e capacità esecutiva, rendendo quasi impossibile eliminare completamente la dipendenza dagli hyperscaler senza rinunciare a funzionalità essenziali. L’approccio più prudente è quello di valutare attentamente i requisiti di sovranità digitale e, dove possibile, adottare soluzioni ibride o cloud sovrani costruiti su tecnologie globali.

Tra gli ostacoli pratici a una migrazione c’è anche la perdita, nel tempo, di competenze interne. Molte aziende hanno esternalizzato interamente le loro operazioni IT, dismettendo infrastrutture locali e lasciando che gli esperti interni andassero in pensione o cambiassero ruolo. Oggi, ricostruire quelle competenze è estremamente difficile. A ciò si aggiungono i famigerati “egress fees”, costi talvolta proibitivi per estrarre i dati dal cloud, che rendono il ritorno indietro ancora più oneroso.

Se da una parte Microsoft sostiene che tali costi non rappresentino un freno per i clienti, e AWS avverte che limitarli comprometterebbe la sostenibilità del proprio modello di investimento, dall’altra la questione è stata al centro di indagini da parte delle autorità britanniche sulla concorrenza nel mercato cloud.

Secondo Roy Illsley di Omdia, il contesto geopolitico sta spingendo molte aziende e governi a rivedere le proprie strategie di fornitura IT. In passato, la scelta era quasi binaria tra hyperscaler statunitensi e cinesi, con preferenza per i primi. Tuttavia, l’era Trump ha reso evidente il rischio geopolitico di affidarsi completamente a tecnologie d’oltreoceano. Illsley osserva che molte grandi imprese europee stanno ora adottando strategie di approvvigionamento duale anche su base geografica, cercando di affiancare a soluzioni americane, dove possibile, alternative locali come SUSE.

Cloud Computing, verso un cloud sovrano anche se gestito da un fornitore USA

Ma sebbene ci sia più consapevolezza, un’uscita rapida e su larga scala dal cloud americano non è alle porte. Migrare è difficile e costoso, per cui è probabile che, in futuro, le aziende valutino con maggiore attenzione dove collocare i nuovi carichi di lavoro. In molti casi, la risposta potrebbe essere un cloud sovrano – anche se gestito da un fornitore statunitense – purché risponda ai requisiti normativi europei.

Cloud computing, fuga dai colossi americani? «Per l’Europa è quasi impossibile» ultima modifica: 2025-06-28T19:21:56+02:00 da Marco Lorusso

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