Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, OpenAI e Oracle hanno siglato un contratto per l’acquisto di potenza di calcolo, indispensabile per lo sviluppo AI, dal valore di 300 miliardi di dollari, distribuiti su un arco temporale di cinque anni a partire dal 2027. L’accordo rappresenta uno dei più grandi impegni mai sottoscritti nel settore del cloud e segna un punto di svolta per entrambe le aziende.
Per OpenAI, significa disporre di risorse computazionali senza precedenti in una fase storica in cui la scarsità di chip e data center rischia di limitare la capacità di sviluppo. Per Oracle, si tratta della consacrazione come attore di primo piano nella corsa all’intelligenza artificiale, un terreno sul quale sembrava essere rimasta indietro rispetto a hyperscaler come Microsoft, Amazon e Google.
Il contesto: da Microsoft a Stargate
Va detto che OpenAI ha a lungo fatto affidamento quasi esclusivamente su Microsoft Azure per alimentare i propri modelli. A partire dal 2024, però, ha iniziato una strategia di diversificazione. L’intesa con Oracle si inserisce in questo processo e di fatto rientra nel progetto Stargate, una joint venture con SoftBank da 500 miliardi di dollari destinata alla costruzione di data center negli Stati Uniti, della quale, secondo quanto riporta sempre il quotidiano statunitense, è parte integrante.
La mossa riflette un cambio di paradigma importante, se pure non certo inconsueto: non più dipendere da un unico partner tecnologico, ma assicurarsi accesso a un portafoglio diversificato di infrastrutture per garantire la continuità e la scalabilità dell’offerta.
L’accordo, per altro, non sarebbe l’unico.
Secondo Reuters, OpenAI avrebbe già firmato accordi anche con Google per capacità cloud aggiuntiva, a dimostrazione che la necessità di potenza computazionale prevale su ogni logica di concorrenza diretta.
La scala dell’accordo Oracle e OpenAI: 4,5 gigawatt di potenza installata
Ma vediamo più in dettaglio cosa prevede l’accordo.
Il contratto richiede 4,5 gigawatt di potenza installata, equivalenti al consumo di circa quattro milioni di abitazioni.
Questa dimensione riflette la trasformazione del settore: secondo Morgan Stanley, tra il 2024 e il 2028 saranno investiti 2.900 miliardi di dollari in chip, server e data center. Un fenomeno che sta già mettendo sotto pressione le reti elettriche locali e che solleva interrogativi su sostenibilità, permessi e disponibilità di risorse.
Dal canto suo Oracle, insieme a partner come Crusoe, costruttore di datacenter statunitense, sta valutando la costruzione di poli in Wyoming, Texas, Pennsylvania, Michigan e New Mexico.
Oracle e OpenAI: L’impatto immediato sui mercati
La notizia del contratto ha avuto un effetto immediato sul titolo Oracle, che ha registrato un incremento fino al +43% in poche ore. Questo balzo ha portato la capitalizzazione di mercato a sfiorare i 950 miliardi di dollari e ha fatto schizzare la ricchezza personale del co-fondatore Larry Ellison di oltre 100 miliardi, avvicinandolo a Elon Musk nella classifica dei paperoni globali.
Un risultato che non è solo finanziario. Il Wall Street Journal ha sottolineato come l’ascesa di Ellison rappresenti un parallelo con la traiettoria di Musk: entrambi sono figure simbolo della Silicon Valley, capaci di trasformare visioni in progetti concreti e di accumulare fortune smisurate legando il proprio nome a trasformazioni tecnologiche epocali.
Sempre Wall Street Journal ha sottolineato come la parabola di Ellison e Musk rappresenti due facce della Silicon Valley contemporanea. Musk, proiettato verso Marte e la conquista dello spazio; Ellison, focalizzato sull’AI come infrastruttura per imprese, governi e sanità.
Entrambi condividono la capacità di attirare capitali e di polarizzare l’opinione pubblica, ma con approcci diversi. Musk ha scelto di vivere in modo minimalista, riducendo il patrimonio immobiliare personale. Ellison è invece noto come collezionista instancabile di proprietà esclusive, dall’isola hawaiana di Lanai al Beechwood Mansion nel Rhode Island.
Sul piano industriale, però, la convergenza è evidente: entrambi scommettono che l’AI sarà la leva di trasformazione dei prossimi decenni.
Oracle come la nuova Nvidia?
Ed è sempre Wall Street Journal che propone ulteriori parallelismi, comunque interessanti.
Come quello con Nvidia, società che in pochi anni è passata dal servire il mercato del gaming a diventare il colosso da 4.000 miliardi di dollari che fornisce le GPU indispensabili all’AI.
Oracle sembra seguire un percorso simile: da fornitore “tradizionale” di database a infrastruttura cruciale dell’AI economy.
E oggi, le previsioni della società parlano di una crescita del fatturato cloud da 10 a oltre 114 miliardi di dollari entro il 2029.
Come osserva il Wall Street Journal, la scommessa è enorme: mentre Nvidia beneficia di una domanda già esplosa per i suoi chip, Oracle deve ancora dimostrare di poter convertire i contratti pluriennali in ricavi effettivi, costruendo data center e assicurandosi le forniture di GPU necessarie.
Safra Catz e la strategia di execution
Ed è qui che interviene, sul piano operativo, Safra Catz, CEO di Oracle.
Catz ha confermato la firma di quattro contratti miliardari con tre clienti, tra cui OpenAI, Meta e xAI. L’azienda ha raggiunto un backlog di 455 miliardi di dollari, quadruplicato rispetto all’anno precedente, e punta a superare i 500 miliardi nei prossimi trimestri.
Secondo la CEO, gran parte dei ricavi futuri nei prossimi cinque anni è già assicurata dal portafoglio ordini. Una dichiarazione che rassicura gli investitori, ma che implica una sfida imponente in termini di delivery: costruire infrastrutture su scala mai vista, mantenendo margini che già oggi risultano più sottili rispetto al passato.
Il nodo della redditività
Uno dei principali interrogativi riguarda proprio i margini. Gli analisti sottolineano che l’attività di noleggio GPU e servizi cloud per l’AI genera profitti ridotti, spesso a una sola cifra, in contrasto con i margini del 50% tipici del software Oracle.
Inoltre, il rapporto debito/equity di Oracle è al 427%, molto superiore al 32% di Microsoft. Questo implica che l’azienda dovrà gestire con attenzione l’indebitamento necessario a finanziare la costruzione dei data center e l’acquisto delle GPU Nvidia, già oggi merce rara.
OpenAI: la corsa infinita alle risorse
Per OpenAI, il contratto con Oracle è una risposta a una carenza strutturale: la domanda di calcolo supera costantemente l’offerta. Sam Altman ha più volte dichiarato che la mancanza di chip è il principale ostacolo allo sviluppo della prossima generazione di modelli.
Ma l’impegno da 300 miliardi è anche un azzardo. OpenAI genera circa 10 miliardi di ricavi annui, a fronte di un esborso medio da 60 miliardi l’anno previsto dal contratto.
Secondo il Wall Street Journal, come dichiarato dallo stesso Altman lo scorso anno, la società non raggiungerà la redditività prima del 2029 e accumulerà perdite per 44 miliardi fino a quella data.
Nonostante questo, Altman prosegue su più fronti: costruzione di chip custom con Broadcom, lancio di un potenziale smartphone alternativo all’iPhone, creazione di nuovi servizi cloud sotto il brand Stargate. Una strategia che secondo il quotidiano Usa richiama da vicino lo stile “visionario e iperbolico” tipico di Elon Musk.
Oracle nell’ecosistema AI
Oltre a OpenAI, Oracle ha stretto accordi con Nvidia, AMD, Meta e xAI. L’azienda si propone come attore agnostico e indipendente, in grado di offrire i propri servizi database anche all’interno dei cloud concorrenti.
Ellison ha dichiarato di voler puntare non solo sull’addestramento dei modelli, ma soprattutto sull’AI inference, cioè l’esecuzione dei modelli su scala industriale. Secondo l’imprenditore, sarà questo il workload più redditizio nei prossimi anni: dai robot nelle fabbriche alle simulazioni biomolecolari per i farmaci.
La combinazione di dati proprietari (gestiti dai database Oracle) e capacità AI su larga scala rappresenta un posizionamento distintivo.
Accordo Oracle e OpenAI: prospettive per il B2B e il canale ICT in Italia
Ma cosa significa tutto questo per il mercato italiano? Tre punti emergono chiaramente:
- Domanda di capacità AI – Le imprese italiane, soprattutto nei settori manifatturiero, bancario e della PA, stanno entrando in una fase di sperimentazione avanzata dell’AI generativa. L’accordo Oracle-OpenAI segnala che la disponibilità di potenza di calcolo sarà la vera discriminante competitiva.
- Nuove opportunità per il canale ICT – I partner Oracle in Italia (system integrator, MSP, distributori) avranno l’opportunità di posizionarsi come abilitatori di servizi AI-ready, offrendo soluzioni di data management, sicurezza e compliance costruite sull’infrastruttura Oracle.
- Pressione sulla governance e sui costi – Con margini in calo e investimenti massicci, i grandi provider cercheranno di trasferire parte dei costi a valle. Le aziende italiane dovranno gestire con attenzione contratti pluriennali, SLA e compliance normativa (GDPR, NIS2, AI Act), facendo leva su partner locali per tradurre queste opportunità in valore concreto.
Per il B2B italiano, l’accordo Oracle-OpenAI non è un evento distante, ma un segnale diretto: la competizione globale per l’AI si tradurrà in nuove architetture tecnologiche, contratti di lungo periodo e necessità di affidarsi a un ecosistema di partner che sappia coniugare infrastruttura e governance.