Papa Francesco ha lasciato un’impronta profonda sul modo in cui la Chiesa guarda al digitale e all’intelligenza artificiale. Ha promosso un uso etico e umano della tecnologia, coniugando discernimento, responsabilità e inclusione. Dall’algor-etica alla Rome Call, la sua visione resta un riferimento per il futuro
Non abbiamo certo noi l’ambizione o la pretesa di dare la misura dell’eredità che Papa Francesco lascia alla Chiesa e all’umanità intera.
Di certo possiamo però dire che Papa Bergoglio ha lasciato un’impronta profonda e inedita anche su un fronte spesso trascurato nella lettura del suo pontificato: quello del digitale e dell’intelligenza artificiale. Più dei suoi predecessori, che non avevano ancora potuto cogliere la portata di ciò che la “rivoluzione digitale” portava con sé, Papa Francesco ha saputo interpretare il mondo connesso e interconnesso non come una minaccia alla spiritualità, ma come una sfida antropologica e culturale. La sua eredità su questi temi, coltivata nell’arco di oltre un decennio, è oggi una bussola etica per la Chiesa e per l’intera comunità internazionale.
Dall’apertura di Wojtyla al web all’Internet come “dono di Dio”
Dobbiamo dire che il rapporto tra la Chiesa e le nuove tecnologie ha comunque radici profonde. Già nel 1995, Papa Giovanni Paolo II autorizzava la nascita del sito web del Vaticano, e nel 2002 firmava un testo pionieristico per la Giornata delle Comunicazioni Sociali dal titolo Internet. Un nuovo forum per proclamare il Vangelo. In quel messaggio, Wojtyla riconosceva il cyberspazio come nuova frontiera della missione, capace di suscitare incontri, ma anche di alimentare illusioni. “Internet offre numerose nozioni, ma non insegna valori”, scriveva, ammonendo contro una cultura che si nutre dell’effimero e richiamando al dovere di orientare la rete verso il bene comune.
Nel solco di questa visione si è inserito Papa Francesco, che nel 2014 ha definito Internet un “dono di Dio”. Un mezzo che può avvicinare le persone e generare solidarietà, ma che presenta anche rischi: la velocità dell’informazione che supera la capacità di giudizio, il pericolo di chiudersi in bolle di opinione, il condizionamento dei media fino all’isolamento sociale. “Non basta passare lungo le ‘strade’ digitali, occorre l’incontro vero”, ha affermato, invitando a un uso del digitale fondato su lentezza, ascolto e prossimità.
Ed è stato, tuttavia, sempre Francesco a mettere in guardia contro la manipolazione delle coscienze, la dipendenza da contenuti effimeri, l’emarginazione di chi è escluso dall’accesso alla rete. Perché la rete sia davvero inclusiva, occorre recuperare uno spirito di umanità e discernimento. Il desiderio di connessione, ammoniva, può tradursi in solitudine se manca il vero incontro.
Nel suo essere pioniere, Francesco è stato il primo pontefice su Instagram, con l’account @franciscus, e ha fatto crescere l’account Twitter @Pontifex a oltre 30 milioni di follower. Pur non utilizzando direttamente questi strumenti, aveva ben compreso il valore comunicativo dei social come strumento di prossimità.
Ma è stato anche critico. In apertura dell’Anno Santo, Papa Francesco ha parlato dei rischi di una “putrefazione cerebrale” dovuta all’abuso di social network, ha avvertito contro la superficialità, le fake news, la manipolazione dell’informazione e l’isolamento emotivo. “La comunicazione è una conquista più umana che tecnologica”, diceva, richiamando al valore del dialogo e della tenerezza anche online.
E nella sua visione la Chiesa è e resta un luogo di contatto reale, e i social possono solo affiancare l’annuncio, non sostituirlo. Tuttavia, nel suo pontificato esortato i cristiani a essere cittadini attivi dell’ambiente digitale, per testimoniare la bellezza del Vangelo nel linguaggio dei nostri tempi. Il suo approccio non è mai stato quello di evangelizzare con la tecnologia, ma nella tecnologia.
Papa Francesco e l’Intelligenza artificiale: l’etica prima dell’algoritmo
A partire dal 2020, Papa Francesco ha rivolto grande attenzione all’intelligenza artificiale. Alla plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, ha introdotto il concetto di algor-etica, un’etica degli algoritmi fondata sui valori della Dottrina sociale della Chiesa: dignità della persona, giustizia, sussidiarietà, solidarietà.
Francesco ha riconosciuto che l’AI può essere un “dono di Dio” se usata con discernimento. Può portare benefici nella ricerca, nel sapere, nel lavoro. Ma può anche esacerbare disuguaglianze, limitare la libertà, amplificare una visione tecnocratica dell’uomo. “Serve una politica che governi, non che subisca”, ha detto. “All’essere umano deve sempre rimanere la decisione”. Ha messo in guardia contro il rischio che l’AI imponga modelli culturali dominanti, uniformando le diversità in nome dell’efficienza.
La Rome Call e l’alleanza interreligiosa per l’algor-etica
Il 28 febbraio 2020, la Pontificia Accademia per la Vita ha presentato la Rome Call for AI Ethics, sottoscritta da FAO, Microsoft, IBM e il Governo italiano. Una dichiarazione per promuovere trasparenza, responsabilità, imparzialità, inclusione, sicurezza e privacy nell’uso dell’AI.
Nel 2023 la Call ha assunto una dimensione interreligiosa, con la firma di rappresentanti delle fedi ebraica e musulmana. Un gesto storico che ha sancito l’universalità dell’etica dell’intelligenza artificiale. In quell’occasione, Francesco ha ribadito che “nessun algoritmo deve decidere sulla vita umana” e ha invocato un uso della tecnologia al servizio della pace e della giustizia globale.
Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, aveva auspicato un confronto internazionale sulle implicazioni etiche delle nuove tecnologie, simile a quello sui cambiamenti climatici. La Rome Call è diventata così un manifesto globale per un’AI eticamente orientata. La Call non è rimasta un evento isolato, ma ha dato origine a un percorso istituzionale per affrontare le sfide dell’AI in modo strutturato e continuativo.
La fondazione RenAIssance e il ruolo educativo della Chiesa
Quattordici mesi dopo la Rome Call, nasce infatti in Vaticano la fondazione RenAIssance, con lo scopo di promuovere il dialogo internazionale su AI e valori etici. Fondata su iniziativa di monsignor Vincenzo Paglia, la fondazione ha sede presso la Pontificia Accademia per la Vita ed è punto di riferimento per una riflessione interdisciplinare sull’etica delle tecnologie emergenti. L’obiettivo è coinvolgere non solo le istituzioni religiose, ma anche governi, aziende, scienziati, filosofi, rappresentanti della società civile.
Papa Francesco durante il suo pontificato ha più volte invitato le istituzioni religiose ed educative a non restare spettatrici del cambiamento digitale. Serve formare coscienze, non solo competenze. Serve promuovere comunità di discernimento. “Le tecnologie plasmano il mondo”, ha ricordato. “Per questo non sono strumenti neutri. Richiedono una maturazione etica”.
Papa Francesco e il richiamo al G7: umanizzare il futuro
Ma c’è un ulteriore punto fermo nella relazione tra il Papa e il futuro tecnologico. Nel 2024, Papa Francesco è stato il primo pontefice a intervenire al G7. Nel suo discorso ha questa volta posto l’intelligenza artificiale al centro del dibattito geopolitico. Ha ribadito che la politica deve creare le condizioni per un uso fruttuoso e non distorto dell’AI. Ha denunciato il rischio di una “cultura dello scarto” generata da algoritmi che privilegiano modelli dominanti e penalizzano le diversità. Ha invitato a promuovere una “cultura dell’incontro” anche nel digitale.
Ha sottolineato i rischi di cedere a nuovi paradigmi tecnocratici e con forza, ha di nuovo rilanciato l’algor-etica come strada maestra: “I programmi di intelligenza artificiale devono essere ordinati al bene di ogni essere umano”. E ha ricordato che la vera etica non si limita agli effetti di un’azione, ma considera anche i valori e i doveri impliciti. Ha inoltre sottolineato come l’AI possa rafforzare le disuguaglianze se utilizzata senza criteri etici condivisi e senza meccanismi di inclusione.
Papa Francesco e un’eredità universale
L’eredità digitale di Papa Francesco è dunque vasta, profonda e ancora tutta da esplorare. Ha saputo coniugare fiducia e responsabilità, apertura e discernimento. Ha parlato a credenti e non credenti, indicando una via umanistica alla transizione tecnologica. Ha ricordato che non basta essere connessi: occorre essere prossimi. Che la tecnologia non è fine a sé stessa, ma uno strumento per costruire un futuro più giusto, più umano, più solidale. In una parola, evangelico.