Siamo abituati a pensare al mondo legal come a uno dei settori probavilmente più resistenti al cambiamento tecnologico. E probabilmente lo è o lo è stato. 
Formalismi, prassi consolidate e una cultura orientata alla continuità rendono lenta l’adozione di strumenti digitali. Eppure, l’accelerazione dell’intelligenza artificiale generativa sta imponendo anche agli studi legali e agli uffici legali delle grandi organizzazioni di ripensare processi, metodologie e modelli di servizio.
I tempi sembrerebbero maturi, ma la piena consapevolezza probabilmente non c’è ancora. 
Secondo Marco Pagani, CEO di Lidiarealtà nata all’interno del Gruppo MESA e specializzata nell’applicazione dei Large Language Models (LLM) al settore legal – la distanza tra potenzialità e consapevolezza è ancora notevole. “Se dovessi dare un voto alla chiarezza con cui manager e professionisti hanno in mente il ruolo della GenAI, direi 5 su 10. Gli studi legali sono per natura conservativi e la tecnologia sta correndo molto più velocemente della loro capacità di comprenderne usi e rischi”.

Dalla toga alla tecnologia

Pagani conosce bene entrambi i mondi. Laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano e con un LL.M. in International Finance conseguito allo University College of London, ha iniziato la sua carriera in uno studio legale. La passione per l’informatica e l’innovazione, coltivata fin da giovane, lo ha portato a fondare nel 2018 WizKey, una delle prime startup europee a lavorare sulla tokenizzazione tramite blockchain, per poi arrivare, proprio nel corso di quest’anno, alla guida di Lidia, con l’obiettivo di applicare i modelli linguistici di nuova generazione al diritto.

“Mi piace definirmi una figura contaminata – spiega –. Da un lato ho la formazione legale, dall’altro la passione per la tecnologia e il business. Negli ultimi otto anni ho cercato di coniugare questi due mondi, prima con la blockchain e oggi con applicativi che sfruttano l’intelligenza artificiale per studi legali e corporate”.

AI generativa: tra hype e concretezza

Il dibattito sull’uso dell’AI in ambito legale non è nuovo, ma l’arrivo dei Large Language Models ha cambiato radicalmente la prospettiva. Non più solo automazione documentale o strumenti di ricerca giurisprudenziale, ma veri e propri sistemi in grado di generare testi, analizzare normative e supportare processi complessi.

“Possiamo pensare agli LLM come a un praticante al primo giorno di lavoro – spiega Pagani –. Ha enormi potenzialità, ma va istruito bene. Non puoi chiedergli di gestire un’operazione complessa senza aver suddiviso i compiti in sottoattività e senza fornirgli il contesto corretto. Il rischio, altrimenti, è di ottenere risultati incoerenti o imprecisi”.

Da qui la scelta di sviluppare Lidia come piattaforma verticale. Il team che vi ha lavorato, composto da avvocati, ha formalizzato oltre 130 processi legali, trasformandoli in flussi strutturati che guidano l’AI nella produzione dei risultati. “Il punto distintivo della piattaforma è proprio questo: non ci limitiamo a scrivere prompt, ma costruiamo veri e propri processi descritti in dettaglio. Questo patrimonio di know-how è la nostra proprietà intellettuale ed è ciò che permette a Lidia di restituire risultati affidabili e aderenti alle prassi legali”.

Lidia, un assistente con vent’anni di esperienza

Il cuore del progetto è semplice: offrire al professionista un assistente digitale in grado di velocizzare attività ripetitive e migliorare la qualità delle analisi. “Lidia è come avere a propria disposizione un assistente legale con vent’anni di esperienza – sintetizza ancora Pagani –. È chiaro che non sostituisce l’avvocato, e non chiediamo certo alla piattaforma di farlo. Ne amplifica però le capacità, rendendo più rapidi i processi e più precisa la ricerca”.

Gli ambiti di applicazione sono molteplici. Per gli studi professionali, Lidia supporta la redazione di bozze contrattuali, la comparazione di documenti, l’organizzazione della documentazione e l’analisi normativa. Per gli uffici legali della corporation, invece, il focus è sull’automazione di task ad alto volume e basso margine, come il pre-screening regolamentare.

Pagani cita un caso concreto: “Per un’azienda assicurativa abbiamo sviluppato un sistema che confronta le polizze vita con oltre 300 pagine di normativa. In 5-7 minuti produce una tabella con discrepanze e possibili affinamenti. Un senior lawyer può così concentrarsi sulle decisioni strategiche, mentre l’AI ha già letto tutto”.

Compliance: dal campione al monitoraggio totale

Uno degli ambiti di applicazione più promettenti è proprio quello della compliance, dove la crescente mole di regolamenti europei richiede nuove metodologie di gestione del rischio. Dal Digital Services Act all’AI Act, passando per la direttiva NIS2 sulla cybersicurezza, gli studi legali e le aziende devono garantire l’aderenza a un quadro normativo in continua evoluzione.

Pagani vede in Lidia un alleato per trasformare la compliance da attività reattiva a processo proattivo. “Stiamo lavorando a playbook che consentano a una GenAI di leggere normative complesse e confrontarle automaticamente con contratti e documentazione. Così non si controlla più un campione, ma l’intero corpus di documenti. È un approccio più preciso, che permette di capire non solo se un documento è impattato dalla norma, ma se lo è il business stesso”.

Per gli studi legali, ciò significa poter proporre nuovi servizi ai clienti, individuando in anticipo contratti non conformi e aprendo opportunità di consulenza. Per le corporate, significa ridurre rischi e costi, aumentando la capacità di monitoraggio continuo.

Cultura digitale: la vera sfida

Se la tecnologia è dunque già disponibile, il vero ostacolo resta culturale. “Gli studi legali italiani sono poco digitalizzati – ammette Pagani –. Serve un salto di consapevolezza. L’AI non è solo un tema di moda, ma una trasformazione che ci accompagnerà per decenni. Le tecnologie sono neutrali: possono avere usi buoni o malevoli. È fondamentale sviluppare una cultura di base per orientarsi, capire i rischi e sfruttare le opportunità”.

Da qui anche l’invito a una responsabilità individuale: “Serve a tutti un’infarinatura di AI. Non si chiede di diventare tecnologi, ma è importante capire di che cosa si tratta. Solo così si può decidere come usarla e come difendersi dagli usi distorti”.

Uno sguardo al futuro di Lidia

Il percorso di Lidia è appena iniziato, ma gli sviluppi già in corso puntano a rendere l’assistente legale ancora più evoluto. L’obiettivo è integrare la capacità di analisi documentale con funzioni di collegamento e ragionamento sui dati, trasformando l’AI in un vero strumento di knowledge management.

“La prossima sfida – conclude Pagani – sarà collegare i documenti con le istruzioni già formalizzate, così che Lidia non si limiti a leggere ma sappia anche connettere i puntini. Solo così potremo ottenere risultati veramente soddisfacenti e spingere il settore legale verso una nuova era”.

Lidia, dal formalismo alla GenAI: il salto digitale del settore legal ultima modifica: 2025-09-24T11:36:16+02:00 da Miti Della Mura

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui