«Diciamolo chiaramente: il nome intelligenza artificiale è brutto, ma ormai c’è e di certo non lo si cambia più». Alfio Quarteroni, matematico e co-fondatore della società Moxoff, non cerca provocazioni a effetto: gli basta la chiarezza.
Ed è proprio con questo spirito di ricerca di chiarezza che ha scritto L’intelligenza creata. L’AI e il nostro futuro (Hoepli), un libro che punta a offrire strumenti per comprendere davvero cos’è – e cosa non è – l’intelligenza artificiale.
La distinzione di fondo sulla quale Alfio Quarteroni si sofferma subito è tra chi usa l’AI e chi la sviluppa. «È come per un’automobile: puoi guidarla senza conoscere il motore, ma se vuoi davvero sfruttarne il potenziale, allora devi anche sapere cosa c’è sotto il cofano», spiega. E aggiunge: “Nel caso dell’AI, la questione è ancora più complessa, perché non esiste un’AI generale buona per ogni cosa. Ogni applicazione ha i suoi limiti e le sue competenze specifiche. Serve consapevolezza, soprattutto se si lavora in azienda. Non basta essere piloti: bisogna anche essere un po’ ingegneri”.
Alfio Quarteroni contro la banalizzazione e le derive fideistiche
Il volume si rivolge a un pubblico ampio, ma evita con cura le banalizzazioni.
Obiettivo dichiarato di Quarteroni è sfuggire alle semplificazioni e, insieme, alle derive tecnofobiche. “Molti parlano di AI senza sapere se lo fanno come utilizzatori o come sviluppatori. Spesso l’impressione è che non capiscano né l’una né l’altra cosa”.
Per questo, il libro alterna spiegazioni divulgative a una rassegna dei concetti fondamentali, inclusi – nel capitolo “Matematica… il minimo sindacale” – alcuni elementi base che aiutano a comprendere le reti neurali, gli algoritmi di apprendimento e i meccanismi che stanno alla base dell’AI moderna.
Quarteroni rifiuta la retorica dell’AI come entità autonoma o antagonista dell’uomo. Il titolo del libro parla chiaro: è un’intelligenza creata, costruita da esseri umani, allenata da esseri umani, al servizio – potenzialmente – degli esseri umani. “Il grande obiettivo è creare degli algoritmi che permettano alla macchina di imparare in maniera autonoma. Ma questa è una creatura dell’uomo, non un’intelligenza spontanea. Parlare di competizione tra AI e intelligenza umana è un falso mito, e anche pericoloso”.
Il rischio principale non è la superintelligenza, ma la banalizzazione. Spesso si pensa che qualunque cosa sia AI, anche la lavatrice che decide il programma da fare in base al carico. “Ma quella è programmazione deterministica, non è intelligenza artificiale – risponde Quarteroni a una domanda precisa -. L’AI vera si basa su algoritmi che apprendono da soli, senza teoria, solo su base esperienziale”.
Un dialogo crescente tra AI e ricerca scientifica
Una parte rilevante del libro è dedicata al rapporto tra AI e scienza. Secondo Quarteroni, le scienze tradizionali e l’intelligenza artificiale rappresentano due paradigmi apparentemente incompatibili: “La scienza procede per teorie, dimostrazioni, leggi. L’AI per esperienza e dati. Ma oggi sempre più ambiti della scienza dura – dalla fisica alla biologia – utilizzano l’AI come strumento per affrontare problemi complessi”.
L’AI, spiega, viene ormai adottata per orientarsi nei big data, per riconoscere pattern, per costruire rappresentazioni semplificate di fenomeni dinamici, fino ad arrivare a scoperte come quella di AlphaFold, che ha rivoluzionato la predizione delle strutture proteiche. “È un crescendo che sempre di più fa sì che l’AI diventi quantomeno coprotagonista della scienza”.
Anche dal lato degli sviluppatori si intravede una nuova direzione: quella degli agenti AI, strumenti capaci di interagire con il contesto e integrarsi in scenari specifici. È un passaggio che porta, inevitabilmente, verso una maggiore ibridazione tra AI e intelligenza naturale. “Si sta realizzando una convergenza che inevitabilmente creerà una simbiosi maggiore”, osserva Quarteroni.
Accessibilità e rigore anche per un pubblico ampio
Il libro non si presenta come un manuale tecnico, né come un saggio specialistico. Ma non è neppure un testo divulgativo generico. È piuttosto un tentativo di disegnare un perimetro, di offrire una “metrica rigorosa” a chi vuole parlare di AI con cognizione. “Il mio obiettivo era parlare anche a tutti, ma usando un linguaggio serio, misurato, che non semplificasse troppo. Poi chi lo leggerà mi dirà se ci sono riuscito”.
Non mancano riflessioni su temi sociali, politici, culturali. L’AI non è un mondo chiuso nel cloud: riguarda le democrazie, le guerre, le relazioni umane, i mercati del lavoro. E secondo Alfio Quarteroni, proprio per la sua pervasività, merita un’attenzione critica. “È uno strumento sofisticatissimo, e come tutti gli strumenti sofisticati spesso non funziona. Per questo bisogna diffidare degli approcci fideistici. Serve lucidità, non fede”.