Cos’è il cognitive computing e le sue applicazioni future. I dati costituiscono la principale materia prima per l’industria digitale. La capacità di analizzarli ed estrarre informazioni di valore rappresenta il processo fondamentale verso cui tendono ormai tutte le organizzazioni alla ricerca di una maggior competitività sui mercati. Del resto, è la ragione per cui stanno affrontando un delicato e impegnativo percorso di trasformazione digitale.

Per comprendere al meglio la domanda proveniente dai mercati, le aziende necessitano di processi di analisi dei dati umano-centrici ed in questo contesto possono essere di enorme aiuto le tecniche di cognitive computing. Vediamo in cosa consistono e perché stanno riscontrando uno straordinario successo nelle applicazioni che prevedono l’automatizzazione delle interazioni con gli umani.

Cos’è il cognitive computing

Il cognitive computing è una disciplina che utilizza modelli computazionali per simulare il processo del pensiero umano, a partire dalla sua comprensione in scenari di varia complessità e incertezza. Il cognitive computing utilizza le stesse tecniche dell’intelligenza artificiale ma con finalità differenti. Il cognitive computing è spesso utilizzando in sinergia con altre tecnologie emergenti, come la robotica e le tecnologie della simulazione.

Per simulare il comportamento della mente umana, il cognitive computing si avvale innanzitutto di tecniche che consentono di comprendere il suo comportamento grazie all’analisi di grandi quantità di dati provenienti dall’interazione con le persone. Tra queste tecniche ritroviamo il data mining, il natural language processing (NLP) e il pattern recognition. 

Il NLP, associato con altre tecniche, come il text-to-speech e il voice-to-text consente di creare applicazioni come i chatbot e gli assistenti virtuali, dotati appunto di funzioni cognitive, in grado di comprendere e relazionarsi in maniera naturale e sempre più credibile con gli interlocutori umani.

Il Cognitive Computing Consortium ha identificato quattro caratteristiche fondamentali per definire i sistemi di cognitive computing:

  • Flessibili: sanno riconoscere gli scenari e intuire le loro variazioni, utilizzando tecniche di apprendimento automatico per migliorare la propria comprensione. Tale caratteristica consente una naturale flessibilità qualora le informazioni contestuali fossero soggette a variazioni. I sistemi di cognitive computing sono infatti adattivi e capaci di adattarsi in tempo reale all’evolversi degli scenari a cui si riferiscono.
  • Interattivi: dispongono di interfacce relazionali (human-computer interface) per comunicare con le persone. I sistemi di cognitive computing riescono a comprendere con efficacia i messaggi degli interlocutori umani in moltissime lingue differenti. Questa proprietà da luogo allo sviluppo di applicazioni conversazionali complesse, che per soddisfare la componente computazionale utilizza le risorse del cloud computing.
  • Iterativi: grazie all’impiego di tecniche di apprendimento automatico (machine learning), i sistemi di cognitive computing migliorano la propria efficienza nel tempo, a condizione di allenarli con set di dati sufficientemente attendibili. Tali sistemi imparano ad esempio a fare domande sempre migliori agli interlocutori umani, per acquisire i dati più utili per risolvere i loro problemi. Ciò accade con frequenza sempre maggiore nelle interfacce conversazionali per il customer care.
  • Contestuali: acquisiscono e analizzano una tipologia di dati strutturati e non strutturati molto ampia, disponibile in vari formati, per identificare al meglio il contesto: file di testo, file audio, video, riferimenti geolocalizzati e cronolocalizzati, oltre ovviamente alle tradizionali tabelle strutturate che ritroviamo nei database relazionali.

Ancor prima di entrare nel merito delle applicazioni specifiche, le motivazioni che spingono le aziende ad implementare nei loro processi tecniche di cognitive computing sono sostanzialmente le seguenti:

  • Maggior comprensione dei propri clienti, con la possibilità di migliorare sensibilmente il customer journey, attraverso applicazioni in grado di garantire una customer experience molto più naturale;
  • Supporto al decision making, grazie a report e insight sempre più accurati e rapidi da ottenere, arrivando a condizioni molto prossime alla disponibilità in tempo reale;
  • Maggior qualità nella comprensione dei dati di scenario, acquisiti ed analizzati in tempo reale contesto di riferimento;
  • Maggior impulso all’innovazione dei processi per ottenere una maggior efficienza nelle operazioni. Ciò avviene per vari fattori, soprattutto grazie alla riduzione di errori che l’automatizzazione dei processi è un grado di assicurare;
  • Scalabilità dei carichi tipica dei servizi disponibili in cloud computing.

Nello specifico, anche a seconda della consapevolezza con cui avviene l’implementazione del cognitive computing, è possibile riconoscere alcuni vantaggi e svantaggi. Questi ultimi si riflettono molto spesso quando si cerca di utilizzare le tecniche di cognitive computing per applicazioni poco rispondenti alle caratteristiche che i sistemi cognitivi sono in grado di implementare.

In molti casi, sarebbe più opportuno avvalersi di tecniche di intelligenza artificiale, soprattutto quando il focus è rivolto all’estrazione di valore dai dati, piuttosto che al valore della relazione prodotto dalle interazioni con gli utenti umani.

I vantaggi del cognitive computing

I principali vantaggi oggettivi del cognitive computing sono i seguenti.

  • Customer experience: Le informazioni contestuali e rilevanti che le applicazioni basate sul cognitive computing sanno scambiare con i clienti producono un oggettivo miglioramento della customer experience, grazie ad interazioni di maggior qualità, che si basano sulla comprensione naturale del linguaggio (NLP). Come già precisato, il cognitive computing è oggi alla base delle principali applicazioni per gli assistenti virtuali, i chatbot, i raccomandatori e-commerce e tutti questi sistemi in grado di simulare previsioni di tipo comportamentale;
  • Accuratezza analitica: il cognitive computing si rivela molto efficace nel definire le correlazioni tra i dati, coinvolgendo sia i dati strutturati che i dati non strutturati;
  • Produttività dei dipendenti: I sistemi cognitivi aiutano il dipendente umano ad analizzare in maniera molto più semplice, veloce e precisa i dati strutturati e non strutturati presenti nei sistemi di gestione dei dati dell’azienda, per identificare i trend e i modelli utilizzi a supportare le varie esigenze di business;
  • Efficientamento dei processi aziendali: basata sulla qualità dei dati e sull’accuratezza delle analisi, ormai fondamentale nell’attività e nei processi delle aziende data-driven. Le tecnologie cognitive rappresentano gli strumenti ideali per riconoscere in maniera accurata i modelli di dati e analizzarli in grande quantità.

Gli svantaggi

Non tutto ora è quel che luccica. Il cognitive computing porta con sé anche alcune evidenti criticità, che vanno accuratamente previste e risolte quando si tratta di sviluppare le applicazioni in grado di utilizzare le sue preziose funzionalità.

  • Sicurezza dei dati: i sistemi cognitivi, come tutti i sistemi di apprendimento automatico, necessitano di grandi quantità di dati per il loro training. La conservazione e il trattamento di una grande quantità e varietà di dati comporta per le aziende un onere non indifferente, sia a livello IT che per quanto concerne il rispetto delle normative vigenti (GDPR) e degli specifici termini di accordo con i clienti;
  • Scarsa sostenibilità: i processi di cognitive computing utilizzano le reti neurali e sono pertanto molto esosi a livello computazionale, comportando, tra le altre cose, un notevole dispendio di carattere energetico. Dal momento che la maggior parte dei servizi di cognitive computing è garantita dai cloud service provider, le aziende dovrebbero sempre assicurarsi che i loro fornitori di tecnologia adottino effettivamente programmi carbon free basati sul ricorso estensivo alle fonti di energia rinnovabile;
  • Lunghezza del ciclo di vita delle applicazioni: nonostante le principali piattaforme rendano disponibili molti moduli funzionali con un approccio di tipo low code / no code, le tecniche di cognitive computing non rappresentano sempre un contesto semplice entro cui destreggiarsi. Sviluppare applicazioni basate sul cognitive computing che richiedono un’elevata dose di personalizzazione richiede team di sviluppatori esperti, che conoscono molto bene questo contesto. I progetti legati a queste tecnologie hanno tempi di sviluppo piuttosto lunghi, anche soltanto per trarre i maggiori benefici dalla qualità dell’apprendimento automatico, che comporta un impegno continuativo nel tempo per collezionare i dati ed impiegarli per il training dei sistemi. L’adozione delle tecniche di cognitive computing può essere lenta e particolarmente onerosa prima di garantire ritorni di investimento (ROI) anche molto elevati. Tale condizione può scoraggiare l’adozione del cognitive computing da parte delle PMI, che tuttavia possono avvalersi di servizi sempre più democratizzati ed accessibili, in quanto le sue funzioni sono sempre più estese ed integrate nei principali ecosistemi di sviluppo in cloud.

Cognitive computing vs intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale è diventata a tutti gli effetti un grande termine ombrello per collegare moltissime sotto branche tecnologiche: machine learning, deep learning, data mining, natural language processing, computer vision, ecc. I più attenti avranno intuito come siano sostanzialmente le stesse tecniche che contraddistinguono il cognitive computing. Dunque, quale sarebbe la differenza tra intelligenza artificiale e cognitive computing? Nel loro obiettivo.

Intelligenza artificiale e cognitive computing utilizzano le stesse tecniche per raggiungere in maniera differente gli obiettivi che si pongono, che spesso possono coincidere, dal momento che entrambe vengono utilizzate per garantire il miglior supporto decisionale possibile all’uomo, ottenendo risposte basate su approcci che tuttavia hanno ben poco in comune. Utilizzando un’espressione gergale, potremmo affermare che l’intelligenza artificiale e il cognitive computing ragionano in modo diverso.

Mentre il cognitive computing cerca di comprendere e risolvere i problemi come farebbe il pensiero umano, l’intelligenza artificiale si focalizza nell’identificare, attraverso l’analisi dei dati, le correlazioni di variabili che l’uomo non sarebbe in grado di riconoscere. In particolare, l’intelligenza artificiale sta diventando praticamente indispensabile nelle situazioni che prevedono grandi quantità di dati, dove l’uomo non risulta assolutamente competitivo rispetto alla capacità elaborative tipiche di un moderno sistema computazionale, oltretutto se in grado di sfruttare le sconfinate risorse del cloud computing.

Intelligenza artificiale e cognitive computing sono dunque delle intelligenze differenti, che non andrebbero necessariamente considerate come alternative, ma quali due risorse in grado di analizzare in maniera alternativa i dati, completandosi tra loro. La sinergia tra AI e cognitive computing consente di sviluppare applicazioni in grado di supportare le decisioni dell’uomo combinando una grande varietà di schemi di pensiero.

Explainable Artificial Intelligence (XAI): spiegare il funzionamento delle intelligenze artificiali

Una delle principali barriere di adozione per l’intelligenza artificiale è costituita dalla fiducia delle persone, che molto spesso vengono tenute all’oscuro del suo funzionamento. Non a caso, i sistemi AI vengono spesso definiti come black box (scatole nere) capaci di formulare conclusioni molto efficaci, grazie ad algoritmi il cui funzionamento non è, a livello matematico, comprensibile per un comune cittadino, essendo materia per specialisti.

Cosa succede all’interno delle black box? Per spiegarlo a tutti è nata una disciplina delle AI, definita Explainable Artificial Intelligence (XAI) che si pone quale obiettivo la realizzazione di modelli semplificati in grado di raggiungere i medesimi risultati di quelli originali, ai fini di spiegare come l’intelligenza artificiale è riuscita a giungere ad una determinata conclusione.

La XAI viene utilizzata soprattutto nei contesti in cui gli algoritmi potrebbero produrre risultati facilmente discriminatori, ad esempio quando il training dei suoi sistemi di apprendimento automatici hanno utilizzato dei data set poco accurati o eccessivamente focalizzati su certe posizioni.

A differenza dell’intelligenza artificiale, il cognitive computing non ha bisogno di essere spiegato, perché si spiega proprio attraverso la sua attività, mirata a simulare nel modo più accurato possibile il pensiero umano in un contesto decisionale. Questo avviene grazie alle capacità di comprensione naturale per cui le tecniche di cognitive computing, che come abbiamo visto coincidono in gran parte con quelle tipiche della AI, vengono utilizzate.

L’impiego di applicazioni basate sul cognitive computing consente di generare interazioni naturali e credibili con le persone, rendendo chiara qualsiasi dinamica di pensiero, fugando lo storico scetticismo che l’uomo nutre nei confronti della AI, favorendone l’implementazione su larga scala. Per tale ragione, è auspicabile che l’intelligenza artificiale e il cognitive computing vengano utilizzate in maniera sinergica e non alternativa.

I campi applicativi del cognitive computing

Il cognitive computing è sempre più utilizzato nei contesti che prevedono l’analisi dei dati che necessitano una comprensione naturale, la stessa che probabilmente effettuerebbe l’uomo se si trovasse nella stessa situazione. Per questo motivo, assistiamo ad una rapida crescita dei contesti enterprise che implementano il cognitive computing nell’ambito dei loro sistemi e delle loro applicazioni.

  • Chabot intelligenti: i chatbot di prima generazione utilizzavano degli script che coincidevano con le domande più frequenti, a cui sapevano rispondere in maniera esauriente. Se un interlocutore umano si rivolgeva con al chatbot con una domanda non compresa nel suo elenco, il sistema non era in grado di formulare una risposta, per il semplice fatto che non disponeva della tecnologia necessaria per comprendere la domanda. Il cognitive computing sta risolvendo questo problema, incrementando in maniera impressionante le capacità conversazionali dei chatbot, in molti casi ormai indistinguibili rispetto ad una persona reale, al punto che diversi servizi utilizzano un disclaimer per avvisare l’utente finale di questa eventualità. I chatbot intelligenti sono oggi sempre più diffusi nell’ambito del customer care, nella gestione automatizzata dei ticket e le richieste di informazioni sui servizi e sui prodotti relativi all’offerta aziendale.
  • Assistenza sanitaria: le tecniche di cognitive computing vengono utilizzate con profitto nelle applicazioni diagnostiche, dove sono in grado di garantire un’accuratezza impossibile per le capacità dell’occhio umano. In particolare, il data mining si rivela molto efficace nel garantire una diagnosi accurata dei diabete e delle malattie rare, ben prima che si manifestino i loro sintomi, oltre a supportare la sperimentazione in moltissimi altri ambiti della diagnosi precoce. Le tecniche di computer vision consentono inoltre di identificare nelle immagini digitali i segnali di patologie come il cancro, riuscendo ad identificarli anche su un campione di pochissimi pixel. Il cognitive computing, anche nel contesto dell’assistenza sanitaria, si rivela molto utile nelle applicazioni di relazione con i pazienti, collegandosi a funzionalità accessorie, come la compilazione automatica delle cartelle cliniche, per digitalizzare la filiera sin dall’acquisizione del dato, che oggi avviene ancora troppo spesso mediante procedure manuali su supporto cartaceo, con tutte le inefficienze che un simile processo inevitabilmente comporta. Il cognitive computing, sin dalle sue prime applicazioni, si è dimostrato un valido alleato contro la malasanità.
  • Rilevamento delle frodi: i sistemi anti-frode sono particolarmente utilizzati in ambito finanziario e utilizzato tecniche di AI per analizzare le immagini alla ricerca di possibili anomalie che possono corrispondere ad un’iniziativa di carattere fraudolento. il cognitive computing offre un prezioso contributo grazie alla sua capacità di comprendere il comportamento, riducendo contestualmente il rischio di generare un falso allarme.
  • Valutazione dei rischi: il cognitive computing viene utilizzato in ambito finanziario anche per quanto riguarda le procedure di valutazione del rischio. Anche in questo caso vi è un’associazione di funzioni tra AI e cognitive computing. Se la prima è in grado di effettuare analisi descrittive e predittive sulla base di uno storico di dati, i sistemi cognitivi possono approfondire la conoscenza analizzando gli aspetti comportamentali, sulla base dei dati ottenuti attraverso le interazioni degli utenti presi in considerazione. Per tali ragioni, il cognitive computing viene utilizzato sempre più spesso nei progetti assicurativi mirati alla stipula delle polizze, dove la componente comportamentale, unica all’analisi dello storico, consente di avere una visione complessiva del quadro di rischio, per capire se il caso rientra nei margini entro cui la compagnia sceglie o meno di assicurare un candidato, valutando al tempo stesso il rischio in funzione di quantificare il premio in sede di preventivo della polizza.

Il futuro del cognitive computing

La tecnologia che più di ogni altra ha contrassegnato lo sviluppo e la diffusione del cognitive computing è stata IBM Watson, una piattaforma che Big Blue ha continuamente implementato di nuovi strumenti di NLP, machine learning, analisi del testo e assistenti virtuali preconfigurati, per consentire di alimentare interfacce conversazionali e servizi cognitivi in grado di soddisfare le esigenze di business di moltissime organizzazioni.

Uno dei presupposti con cui opera IBM Watson è il fatto di avvalersi del cognitive computing per generare una sinergia tra uomo e macchina, in grado di sfruttare le migliori qualità di ognuno. Molto spesso, quando si parla di intelligenza artificiale, si tende a considerare uomo e macchina quali elementi avversari, anziché pensare la tecnologia in chiave positiva. Si tratta di un pregiudizio che il cognitive computing sta cercando di smentire grazie ad applicazioni concrete che supportano l’uomo nel migliorare l’efficienza dei processi che lo vedono quotidianamente coinvolto nei più svariati ambiti di business.

Secondo IBM, la collaborazione tra uomo e macchina avviene sulla base di un concetto piuttosto semplice, almeno in via teorica. L’uomo possiede infatti alcune capacità che le macchine non sono in grado di emulare, e non lo saranno per moltissimo tempo: compassione, intuizione, progettualità, giudizio, senso pratico.

Allo stesso modo, le macchine hanno qualità elaborative in grado supportare delle qualità che vanno ben oltre le possibilità del pensiero umano, soprattutto quando si tratta di considerare una grande quantità di dati: ricerca informazioni, deep learning, operazioni matematiche su larga scala, fact checking.

La combinazione tra le capacità distintive dell’uomo e di quelle esclusive delle macchine consente di generare sistemi cognitivi in grado di ottenere risultati finora impensabili, sulla base dell’enorme quantità di dati che le aziende digitali sono ormai in grado di acquisire ed analizzare in tempo reale. La domanda da porsi quindi non sarebbe più focalizzata sulla possibilità di collaborazione tra uomo e macchina. Da tempo ci si interroga su come uomo e macchina possano e debbano collaborare per implementare applicazioni di successo nei principali ambiti di business. Sulla base di queste ed altre considerazioni, sul IBM Cloud Blog, già nel 2015 veniva pubblicato l’articolo The Future of Cognitive Computing, a firma del software architect e divulgatore Andrew Trice.

Nella sua ampia disamina, Trice individuava il potenziale che il cognitive computing dovrebbe esprimere in alcuni settori di attività, che da tempo investono con continuità su queste tecnologie. Quella che segue è una sintesi adattata della più ampia trattazione originale (https://www.ibm.com/blogs/cloud-archive/2015/11/future-of-cognitive-computing/)

Oil & Gas

Gli impianti moderni possono disporre di oltre 80mila sensori posizionati sui serbatoi. Si stima che ogni serbatoio possa generare oltre 15 petabyte di dati nel corso del suo intero ciclo di vita. E parliamo soltanto dei un serbatoio. Prospettiamo questo ordine di grandezza sulla dimensione degli stabilimenti estrattivi ed avremo la percezione di quale sia la mole di dati che i sistemi IIoT sono in grado di acquisire sul campo. Si tratta di un patrimonio informativo enorme, che il cognitive computing può valorizzare nei seguenti modi:

  • Aiutare le oil & gas company a prevenire le trivellazioni nei luoghi sbagliati
  • Aiutare la gestione dei flussi, ottimizzando nello specifico le situazioni in cui i sistemi pompano in eccesso o in difetto
  • Sfruttare progressivamente i dati in maniera più completa ed esauriente, di fronte alla considerazione pratica che oggi vede i sistemi IIoT degli impianti oil & gas generare molti più dati rispetto a quelli che i sistemi cognitivi e di AI riescono ad analizzare, in modo da rendere le company sempre più data-driven nelle loro decisioni.

Retail

Il cognitive computing costituisce una disciplina il cui impiego appare del tutto naturale in ambito retail, dove gli utenti si relazionano continuamente con i canali aziendali, mettendo a disposizione un patrimonio informativo estremamente prezioso per comprendere la domanda di mercato. Già nel 2015, quando IBM ha prodotto le considerazioni a cui facciamo riferimento, si stimava che gli utenti nella rete producessero 500 milioni di tweet e 55 milioni di post su Facebook. Oggi le interazioni sui social network sono ulteriormente aumentate, così come quelle che alimentano le strategie omnichannel con cui i brand hanno riposizionato le proprie offerte negli ultimi anni.

Attraverso l’impiego del cognitive computing, i brand possono valorizzare al meglio questo straordinario volume di dati che i canali digitali sono in grado di acquisire in tempo reale, per identificare i trend e i modelli di acquisto emergenti, le preferenze dei clienti e tutti gli insight che consentono di intercettare, sotto vari punti di vista, i cambiamenti della domanda di mercato, anticipando anche le sue future evoluzioni attraverso l’analisi del sentimento che si sviluppa lungo l’intero customer journey.

Internet of Things

L’IoT è una delle principali tecnologie emergenti, nonché un pilastro fondamentale dell’industria 4.0. La sua combinazione con le tecnologie di comprensione naturale del linguaggio (NLP) può consentire di comprendere molto meglio rispetto ad ora i cosiddetti dati machine-to-machine, destinati a diventare sempre più prevalenti negli anni a venire. Si tratta infatti di dati molto spesso di natura non strutturata, che necessitano di una consistente azione di pulizia. Le principali applicazioni in tal senso sono attese nel contesto della smart city, in cui vi è una costante interazione dei sistemi automatizzati con l’attività antropica, in applicazioni che spazio dalla pubblica sicurezza alla gestione della mobilità.

Pubblica sicurezza

In riferimento a quanto enunciato al punto precedente, nel 2015 la città di New York era già in grado di generare, attraverso i sensori e le camere di pubblica sorveglianza, circa 520 TB di dati ogni giorno. Trattandosi in gran prevalenza di video e immagini, siamo nel contesto dei dati non strutturati, oltretutto in un contesto in cui questi vengono utilizzati in una minima parte rispetto alla mole acquisita, pur risultato necessari nella loro totalità, per consentire una copertura 24/7 dei luoghi da monitorare.

Oltre migliorare l’efficienza operativa di tali sistemi, il cognitive computing può offrire un contributo fondamentale sul piano della sicurezza informatica, supportando le analisi comportamentali su quanto avviene sui sistemi di gestione, ai fini di evitare frodi e pericolosi data breach. Ormai da molto tempo il concetto di perimetro di sicurezza informatica è stato ampiamente superato, per cui i tradizionali firewall non sono più sufficienti a garantire un livello di protezione globale nei confronti di una minaccia sempre più eterogenea e capace di sfruttare le vulnerabilità dei sistemi a qualsiasi livello. Le applicazioni di analisi comportamentale utilizzano tecniche di cognitive computing per rilevare in maniera proattiva le possibili anomalie e mitigarle con successo, molto spesso ancor prima che si traducano in veri e propri attacchi informatici.

Energia

Secondo una stima rilevata da IBM, nel 2017 a livello globale sarebbero stati installati 680 milioni di metri “intelligenti”, relativamente ai sistemi di distribuzione dell’energia, in grado di produrre ben 280 petabyte di dati da analizzare. Questi metri digitali offrono quindi una grande capacità di acquisizione, ma il dato rilevato è molto spesso non comprensibile, soprattutto nelle correlazioni che intercorrono tra l’erogazione e l’effettiva domanda. I sistemi cognitivi possono aiutare le aziende nel settore energia e utilities a comprendere meglio il comportamento sulle loro reti di distribuzione.

Transporti e logistica

Oggi I veicoli sono sempre più equiparabili ai device IoT, connessi alla rete e in grado di elaborare una grande capacità di dati. È evidente come i sistemi dotati di connettività a bordo delle auto debbano essere cognitivi, per supportare decisioni in tempo reale basate sulla conoscenza di quanto avviene nell’ambiente circostante, considerando sia le sue caratteristiche sia il comportamento di chi si trova alla guida del veicolo, che a sua volta si avvale del contribuito dei sistemi di guida autonoma.

La mobilità e la logistica costituiscono per il cognitive computing uno straordinario banco di prova, per rendere sempre più comprensibile un volume di dati impressionante, tuttavia composto per l’80-90% dai cosiddetti dark data, ossia dati che non sono direttamente in grado di generare un insight fruibile e utile a supportare decisioni consapevoli.

Cos’è il cognitive computing e le sue applicazioni future ultima modifica: 2022-07-20T10:16:30+02:00 da Francesco La Trofa

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