Dati personali: uno italiano su tre non sa chi li gestisce, il report VMware.

Tra le barriere all’innovazione tecnologica vi è senza dubbio un certo timore nei confronti del trattamento dei dati digitali, soprattutto in quei contesti laddove si condividono informazioni particolarmente sensibili (i famosi dati personali).

Secondo una ricerca di VMware, condotto su un campione di oltre 6000 persone nel contesto europeo, emerge un chiaro divario tra l’appetito digitale dei consumatori, guidati da un fisiologico interesse nei confronti della tecnologia, e la fiducia nel mondo in cui i dati vengono utilizzati da chi li acquisisce.

Vediamo nel dettaglio la sintesi che emerge dallo studio di VMware anche per comprendere come la sfiducia dei dati potrebbe condizionare in maniera tangibile il percorso tecnologico che la trasformazione digitale nei vari ambiti di business richiede ormai a gran voce.

[Questa è una nuova puntata della rubrica multipiattaforma #TDVMware in collaborazione con Tech Data e VMware. Un appuntamento esclusivo dedicato alle competenze, al valore e all’innovazione che oggi servono a tutti i migliori operatori dell’ecosistema ICT per portare, sul territorio, il digitale che le imprese chiedono e cercano.
Trovate qui alcune puntate precedenti:

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Dati personali tra sfiducia verso governi e aziende ed entusiasmo nei confronti dell’innovazione tecnologica

Secondo i dati di sintesi di uno studio condotto da VMware, addirittura il due terzi dei consumatori europei ha dichiarato di non conoscere chi ha accesso ai suoi dati personali e soprattutto come questi vengano a tutti gli effetti utilizzati. La realtà italiana esprime un valore inferiore, che si assesta sul 55% degli intervistati, ma rimane comunque ben al di sopra della metà dei soggetti coinvolti.

La ricerca gode di un carattere esclusivamente qualitativo, in quanto è stata svolta su un campione piuttosto contenuto, ma si rivela estremamente utile per il fatto che consente di avere una percezione del sentimento a livello europeo.

La fase di ricerca dello studio si svolta mediante un sondaggio online sulla piattaforma YouGov, commissionato dalla stessa VMware, su 6.214 consumatori in cinque paesi: Regno Unito (2.060), Francia (1.124), Germania (1.030), Italia (1.020) e Spagna (1.021). I dati acquisiti si riferiscono al periodo compreso tra il 31 gennaio e il 22 marzo 2022. Le cifre raccolte sono state successivamente ponderate in modo da risultare il più possibile rappresentative di tutti gli adulti maggiorenni dei paesi coinvolti.

Nonostante il dato con cui abbiamo aperto questa narrazione lasci pensare ad un quadro complessivamente negativo, in realtà le intenzioni nei confronti dell’innovazione sarebbero molto buone, in quanto il 58% (61% in Italia) si è dichiarata favorevole al fatto che la tecnologia possa contribuire in maniera concreta al progresso digitale del Paese, creando prospettive di crescita in termini occupazionali e di ritorno economico per le aziende che affrontano con successo un percorso di trasformazione digitale.

Il 68% dei soggetti intervistati ha inoltre dichiarato come gli investimenti nell’innovazione tecnologica costituiscano un’opportunità decisamente auspicabile per rendere complessivamente il mondo un posto migliore, favorendo l’inclusione e la resilienza di un benessere diffuso. Per contro, soltanto il 6% (5% in Italia) ritiene al momento utile investire in attività come il turismo spaziale, segnale che indica come su ampia scala le persone siano favorevoli soprattutto ad intraprendere iniziative finalizzate ad offrire vantaggi diffusi e tangibili rispetto a soluzioni certamente suggestive, ma più distanti rispetto ad una percezione diffusa di quotidiana utilità.

Si genera quindi una situazione di tensione tra la volontà di utilizzare e favorire la diffusione su larga scala della tecnologia ed il timore relativo al trattamento dei dati di interazione che questa comporta. Anche in questo caso, le statistiche rilevate dallo studio di VMware ci consentono di avere una buona visibilità su questo controverso aspetto.

Tech Data e Cohesity

Dati personali, l’innovazione può aiutare

Il 47% ritiene che l’introduzione di nuove tecnologie possa essere ragione di destabilizzazione o timore a livello generale. Tuttavia, a fronte di un quesito che ritiene come la tecnologia sia necessaria per migliorare il benessere dei cittadini e della società, soltanto il 16% si è espresso in termini di palese disaccordo. Questo dato è curioso, perché manifesta un sentimento di tangibile incertezza.

La questione assume caratteri più definiti quando l’attenzione si sposta sul ruolo che i governi e i principali attori del mercato dell’innovazione tecnologica dovrebbero assumere per garantire la sicurezza dei cittadini nell’impiego delle tecnologie digitali, in modo che questi si sentano più sicuri e decisi nell’abbattere le barriere nei confronti dello sviluppo di un mondo digital-first, superando definitivamente questa fase di eterna transizione.

Secondo il 58% (44% in Italia) dei soggetti intervistati nel contesto europeo, emerge una tangibile preoccupazione per la sicurezza del proprio digital footprint. Il dato italiano esprime una maggior fiducia da parte del nostro Paese nell’impiego della tecnologia, che potrebbe essere in parte figlia di una bonaria incoscienza, ma anche della consapevolezza che per godere dei vantaggi offerti dai servizi digitali bisogna essere disposti a condividere i dati utili alle applicazioni stesse per elaborare funzioni in grado di assisterci nelle nostre attività.

Il 72% (69% in Italia) è nello specifico preoccupato per il ruolo che la tecnologia gioca nell’ambito della disinformazione su internet, una minaccia informatica estremamente difficile da arginare. Il 48% (45% in Italia) manifesta un evidente timore per il fatto che i provider della tecnologia traccino regolarmente le attività svolte dai cittadini mediante i dispositivi digitali con cui interagiscono con la rete, soprattutto a fronte del fatto che sia i governi che le aziende non sarebbero affatto chiari e trasparenti nel descrivere come i dati vengano acquisiti ed utilizzati. Soltanto il 10% dei consumatori (12% in Italia) si rivela fiducioso nei confronti delle istituzioni e dei principali attori del mercato della tecnologia.

In molti sensi, la sfiducia dei dati sta ponendo un freno più o meno cosciente da parte della collettività allo sviluppo tecnologico nel pieno del suo potenziale, che è ciò di cui vi sarebbe assolutamente bisogno in termini di tecnologia capace di agire per il bene collettivo e il miglioramento del sistema socio-economico a livello globale. Il 60% dei consumatori (49% in Italia) si dichiara timoroso o palesemente a disagio nel condividere i propri dati personali per aiutare i governi e le aziende private a progettare infrastrutture smart e sostenibili dal punto di vista ambientale. Il che ovviamente non equivale a dire che i cittadini non vogliano che si investa in tale direzione, come abbiamo del resto rilevato in precedenza. Tuttavia, se si entra nello specifico, soltanto il 17% delle persone (27% in Italia) accetterebbe di buon grado la presenza di un digital shadow della città in cui vive, anche quando questo viene dichiaratamente implementato per obiettivi di pubblica utilità.

Commentando i risultati dello studio, Joe Baguley, VP e CTO EMEA di VMware, si è soffermato su una serie di aspetti assolutamente cruciali, che non possono lasciare indifferente nessuno stakeholder nell’ambito del cambiamento tecnologico: “Quello che viviamo è un momento storico cruciale per il modo in cui l’innovazione tecnologica e le esperienze digitali possono plasmare positivamente le nostre vite, le economie, la società e il Pianeta. Ma c’è una mancanza di consapevolezza sul tipo di dati necessari per guidare questo progresso, e i consumatori si sentono giustamente diffidenti. La maggior parte delle persone si interessa realmente ai dati solo quando legge sui giornali la notizia di una violazione e non pensa a tutte le cose incredibili che possiamo fare in medicina, con i veicoli a guida autonoma, nell’intrattenimento mobile, nello shopping“.

Vi sarebbe un sentimento diffuso da cui emergono ancora evidenti limiti in fatto di consapevolezza nei confronti delle potenzialità tecnologiche a fronte degli evidenti rischi che la sua implementazione comporta, ma lo stesso Baguley comprende in pieno le sensazioni dei cittadini in merito alla sicurezza dei loro dati: “In questo momento, il prezzo percepito del progresso è troppo alto e i consumatori non sono ancora pienamente d’accordo sulla condivisione dei dati necessari per alimentare il cambiamento. Affinché i consumatori abbraccino tutto questo, devono sapere cosa succede ai loro dati – la maggior parte dei quali non è personalmente identificabile – e sentirsi sicuri che vengano gestiti in modo sicuro e sensibile“.

Come restituire ai cittadini la fiducia dei dati

Una volta identificato un problema di sfiducia diffusa nei cittadini europei nei confronti dei governi e delle aziende che stanno guidando la trasformazione digitale della società, occorre individuare una possibile soluzione, per evitare che il problema si trascini di fatto lungo tempistiche indefinite, verso scenari oltretutto ignoti.

Secondo Joe Baguley il ruolo di ridare ai cittadini la fiducia nei dati è una responsabilità di cui devono farsi in primo luogo carico la principale fonte del dubbio, ossia i provider tecnologici, collaborando in maniera diretta con i governi: “Secondo la Commissione europea, il valore dell’economia dei dati potrebbe raggiungere i 550 miliardi di euro per l’UE entro il 2025. Ma noi come responsabili delle aziende, insieme ai governi, dobbiamo assumere un ruolo attivo nell’aiutare i consumatori a diventare più consapevoli e sicuri dei dati, in modo da poter contribuire collettivamente a rilanciare le economie digitali. Possiamo farlo costruendo soluzioni radicate nella scelta individuale e nel controllo dei dati; ispirando ed educando le persone per avere una popolazione informata sulla tecnologia; e costruendo la fiducia che le parti che gestiscono i dati sensibili siano adatte a farlo. Gli ultimi due anni hanno visto un cambiamento epocale verso un mondo veramente digital-first, ma ora dobbiamo resettare tutto e riallinearci per inaugurare la prossima frontiera dell’innovazione“.

Del resto, le iniziative non mancano, occorrerà tutta via comprendere quale sarà il loro effettivo successo, a partire da nobili intenzioni. Basti pensare a Gaia-X, consorzio per la sovranità europea dei dati in cloud, di cui VMware è un convintissimo partner sin dalla sua fondazione. L’organizzazione diretta da Francesco Bonfiglio mira dichiaratamente a costituire standard tecnologici ed organizzativi aperti, in modo da garantire la massima trasparenza sul trattamento dei dati dei cittadini sui data center dei provider in cloud.

L’auspicabile successo di questa giovane iniziativa, economicamente indipendente, potrebbe costituire un volano per convincere o costringere i governi dei Paesi membri dell’Unione ad intervenire con maggior decisione nel tutelare il trattamento dei dati dei propri cittadini, favorendo la crescita di quella fiducia indispensabile affinché si sblocchi il timore reverenziale che attualmente costituisce una tangibile zavorra in molti ambiti dello sviluppo tecnologico-informatico. 

Dati personali: un italiano su tre non sa chi li gestisce, il report VMware ultima modifica: 2022-06-23T01:12:31+02:00 da Marco Lorusso

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