Fare gli sviluppatori oggi non è male. Soprattutto se ti piace lo sviluppo open source, soprattutto se sei un partner di lunga data di Red Hat, e poi il cappello rosso finisce sotto quello di IBM.

Lo sviluppo del software probabilmente non ha mai vissuto tempi migliori. Non esiste progetto di digital transformation che non preveda integrazione applicativa, sviluppo su Api, personalizzazione e, grazie alla sua “openess”, farlo su piattaforme Open Source è meglio.

Plurimedia si potrebbe definire una software house “artigianale”, senza correre il rischio di offendere Maurizio Galotti, Sales Marketing Director della azienda. Se specifichiamo che artigianale significa costruito su misura delle esigenze del cliente, basato su cloud ed erogato as-a-service, dimenticandoci così l’approccio legacy. È un’artigianalità moderna, questa, collaborativa, dinamica, modulare, insomma Open.

Il manager ci aggiorna sulle ultime novità durante il webinar Case dell’acqua: come è possibile semplificare la loro gestione grazie a cloud e IoT, organizzato insieme a IBM, di cui Plurimedia è Silver Business Partner.

Siamo partner storici di Red Hat – ricorda Galotti – e di Panda. Con l’acquisizione di Red Hat da parte di IBM, abbiamo iniziato a validare tutto il nostro codice su piattaforma IBM”. E l’hanno fatto bene, da quanto afferma Stefano Innocenti Sedili, IBM Client Architect che conferma che Plurimedia è un partner da raccontare, soprattutto quando si parla di Utilities, e di acqua. La collaborazione sembra una win-win situation, perché oggi molti dei moduli Plurimedia utilizzano l’Intelligenza Artificiale di Watson, per esempio.

Il valore del termine open nello sviluppo open source

Il valore che emerge dalle parole di Galotti non riguarda solo l’essere sviluppatori tout court ma l’essere stati in grado di comprendere in fretta dove si indirizzava il trend tecnologico. Ovvero, svolgere il percorso di integrazione tra servizi cloud native e app on premise, perché di questo c’è bisogno.

Oggi è la grande madre IBM che detta la linea. L’approccio con cui si affrontano le sfide di business dei clienti passa attraverso 5 principi base: Ibrido, Multicloud, Open, Secure e Management. Alla voce Open, che è quella che ci interessa, leggiamo: costruire funzionalità aperte by design che garantiscano la massima flessibilità al cliente.

Lo sviluppo open source è questo: dinamico, veloce, sartoriale e plurale. In una parola, flessibile. E tutto torna.

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Plurimedia balza agli onori delle cronache qualche anno fa, grazie alla referenza di BrianzAcque che gli affida le chiavi di un paio di progetti interessanti. Dal sito istituzionale al progetto che riguarda le Case delle Acque il passo è breve. Sono circa 66 le Case delle Acque in tutta la regione Lombardia e l’idea era di renderle più intelligenti, e anche un pochino più utili dal punto di vista marketing.

Il mercato delle Utilities, un ottimo banco di prova

Siamo quindi nel mondo delle Utilities, un settore con grande sete di tecnologia, ma anche un settore complesso, in cui l’eterogeneità la fa da padrona. Ma per fortuna, che te lo dico a fare, c’è lo sviluppo open source.

A seguito della acquisizione di Red Hat, IBM fa suo il coniglio forse più succulento pronto a uscire dal cappello rosso. Red Hat OpenShift è una piattaforma as-a-service per lo sviluppo, il deploy e la scalabilità delle applicazioni cloud (native). Ed è su Red Hat Openshift che Plurimedia si mette al lavoro, costruendo una serie di soluzioni software (e per favore non chiamiamoli prodotti).

Prendi Pluritank, per esempio. Definita come soluzione architetturale cloud based che sfrutta la logica dei microservizi. Attraverso una singola piattaforma è possibile generare e distribuire dati e informazioni verso gli altri asset applicativi del cliente. Pluritank, così, non sostituisce ma complementa. Fedele compagno di Erp, Crm e tutto ciò che si può trovare in una azienda, dentro Pluritank ci si può mettere una serie di microservizi. Tutto quello che serve nel processo di acquisizione ed elaborazione dati da sensori e dispositivi IoT distribuiti sul territorio e nella loro distribuzione in Rete.

La scalabilità e l’aggiunta dei microservizi dipende solo dalle esigenze dell’azienda cliente. Ma il portafoglio è ampio e risolve l’interazione con il cliente (tipicamente via app), la gestione amministrativa, la manutenzione e le operazioni di analisi sul campo, la telelettura dei contatori, la governance della documentazione e dei dati e altro.

Pensando alle Case delle Acque, Plurimedia realizza PluriH2O. Si tratta di una applicazione web cloud native che si occupa di gestire ed elaborare diverse informazioni. Interventi di manutenzione, telelettura, gestione degli asset delle casette, della documentazione e l’infotainment sugli schermi a scopi informativi e di marketing. C’è da prendere tutto il pacchetto? Assolutamente no, i vari microservizi si accendono e si spengono a seconda delle necessità.

Va da sé che il modello su cui poggia PluriH2O si possa adattare a diversi contesti, in fondo basta cambiargli il nome, da PluriH2O a PluriWatt, per dire, il passo è breve. Ciò che non cambia è la finalità di base: costruire un dialogo di dati tra sensori e dispositivi IoT e infrastruttura applicativa aziendale. Acquisirli, elaborarli per i diversi utilizzi, fornire intelligenza e automazione. Il tutto attraverso un paradigma di sviluppo open source che garantisce flessibilità e scalabilità.

Sviluppo open source: l’esperienza vincente di Plurimedia ultima modifica: 2020-07-29T09:38:38+02:00 da Valerio Mariani

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