La trasformazione digitale ha reso sempre più data-driven le aziende, ma quante realtà riescono effettivamente ad innovare e trarre giovamento dall’utilizzo dei dati? Se lo è chiesto VMware, che ha commissionato da Coleman Parkes una ricerca utile ad approfondire il livello di consapevolezza delle aziende europee nei confronti dei dati di cui dispongono.

I risultati sono stati pubblicati nella seconda edizione del report Innovating in the Exponential Economy, che segue la versione uscita nel corso del 2018, in uno scenario differente rispetto a quello attuale, ma che lasciava già presagire alcune evidenti criticità, che non sarebbero state nel frattempo risolte.

[questa è nuova puntata della rubrica multipiattaforma #TDVMware in collaborazione con Tech Data e VMware. Un appuntamento esclusivo dedicato alle competenze, al valore e all’innovazione che oggi servono a tutti i migliori operatori dell’ecosistema ICT per portare, sul territorio, il digitale che le imprese chiedono e cercano.
Trovate qui alcune puntate precedenti:

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Il sondaggio alla base della ricerca è stato svolto nei mesi di maggio e giugno 2022 ed ha coinvolto 100 C-Level non tecnici attivi in realtà Forbes Top 2000. I risultati di Innovating in the Exponential Economy restituiscono una serie di indicazioni molto interessanti, che evidenziano come la maggior parte delle aziende, nonostante il crescente impegno, non sia ancora in grado di sfruttare pienamente il patrimonio informativo digitale di cui dispone.

Il dato più allarmante è costituito dal fatto che il 64% delle aziende ammette di avere problemi nel valorizzare i propri dati e che questo aspetto costituisce un evidente freno nei confronti dell’innovazione, oltre a ipotizzare che per supportare una vera e propria data economy (qui la guida per capire cosa è la data governance) occorreranno ancora diversi anni.

Il 20% delle aziende coinvolte dal sondaggio di Coleman Parkes ha addirittura confessato di avere evidenti problemi nel gestire il crescente volume di dati generato dai loro sistemi informativi e che tale aspetto anziché favorire l’innovazione assume risvolti addirittura negativi.

Ma perché ciò accade? E cosa potrebbero fare le aziende per sviluppare una cultura data-driven efficiente, per innovare e diventare sempre più competitive sul mercato? Proviamo a cercare queste risposte nella nuova edizione del report Innovating in the Exponential Economy.

E se i dati aumentassero il gap tra innovazione ed esecuzione, anziché ridurlo?

La prima edizione del report Innovating in the Exponential Economy, datata 2018, aveva rilevato come le aziende non mancassero certamente a livello di idee, ma nella capacità di eseguirle. Nonostante l’ausilio di tecnologie sempre più performanti nella gestione e nell’analisi dei dati, soltanto una piccola percentuale di organizzazioni era in grado di identificare e concretizzare l’innovazione per portare l’azienda verso gli obiettivi desiderati.

Uno dei problemi più significativi era legato al fatto che l’innovazione, per essere tradotta con successo in realtà, doveva essere continuamente rivalutata e ricalibrata. In altri termini, il processo richiedeva un’elevata comprensione dei dati, che molte realtà non riescono a sviluppare, per via di barriere tecnologiche ma soprattutto culturali.

Cosa è cambiato in questi quattro anni?

Il nuovo studio, nell’aggiornare le previsioni maturate nel corso della prima edizione, ha rilevato le consistenti variazioni di scenario intervenute negli ultimi anni, sia per quanto riguarda le tecnologie che nel frattempo hanno raggiunto un livello di maturazione più elevato, sia per gli effetti derivanti dalla pandemia Covid-19 e dalle criticità globali che continuano a condizionare le strategie aziendali.

La trasformazione digitale dei prodotti, dei processi e dei modelli di business è ormai mainstream in diversi settori. I processi decisionali godono di un maggior supporto da parte della business analytics, che sta rendendo le aziende sempre più data-informed e data-driven.

Le tecnologie emergenti, su tutte Big Data & Analytics, Intelligenza Artificiale e Machine Learning, si avvalgono delle architetture edge e multicloud per acquisire ed analizzare in maniera sempre più performance enormi flussi di dati in tempo reale. Mai come ora è possibile ottenere conoscenze dai propri processi per favorire l’innovazione.

Eppure, nonostante la tecnologia stia facendo passi da gigante, non paiono esserci altrettanti progressi in termini di gap tra innovazione ed esecuzione, e ciò sarebbe in particolar modo imputabile ad una generale carenza di competenze relative all’utilizzo dei dati, oltre alla persistenza di prassi ed abitudini operative che costituiscono un solida barriera nei confronti del cambiamento. Questi due aspetti, diabolicamente combinati tra loro, vanificherebbero qualsiasi sforzo in termini di innovazione, a cominciare dall’utilizzo non efficiente delle nuove tecnologie implementate.

In questo non esaltante quadro, incide inoltre la paura a trattare i dati uscendo dagli schemi consolidati, nel timore di violare le norme vigenti in materia di sovranità dei dati e protezione dei dati.Anche questo aspetto si traduce in una costante perdita di opportunità a livello strategico, in quanto, secondo l’esito del sondaggio, il timore di incorrere in sanzioni relative alle violazioni dei dati appare concreto per il 70% dei C-Level chiamati a rispondere.

La stessa percentuale ritiene che il gap tra innovazione ed esecuzione richiederà almeno dai tre ai cinque anni prima di iniziare ad assumere connotati più favorevoli. Il 60% manifesta tuttavia un certo ottimismo, in quanto ritiene che gli investimenti finalizzati a valorizzare i dati cresceranno nei prossimi due anni e produrranno un sensibile miglioramento in termini di decision making data-driven.

Data Driven, aspettiva vs realtà nella corsa all’innovazione

Le organizzazioni riconoscono ormai in maniera pressoché unanime il potenziale dei dati, ma continuano a manifestare evidenti difficoltà nell’utilizzare i dati per tradurre nuove idee in nuovi prodotti, servizi e strategie secondo modalità che possono generare un effettivo valore aggiunto, a cominciare da una evidente riduzione dei costi e del time-to-market.

Ciò è quanto si intende per innovation-execution gap, ed un problema che riguarda ancora la maggior parte delle aziende, per problemi che derivano in buona parte da resistenze interne al cambiamento, che porta a non utilizzare i dati nella direzione più favorevole nei confronti dell’innovazione.

Per spiegare in maniera semplice questo concetto, il report Innovating in the Exponential Economy ci ricorda il caso di Kodak, la celebre azienda americana che ha dominato la scena della fotografia nel secolo scorso. In particolare, viene citata la testimonianza di Steve Sasson, un ingegnere che avrebbe di fatto inventato la prima camera digitale, nel lontano 1975: “Si trattava di una camera sprovvista di pellicola, per cui la reazione del management fu qualcosa del tipo: bello, ma non diciamolo a nessuno!”.

Nessuno metteva in discussione la validità dell’innovazione che avrebbe portato la camera digitale, ma il fatto che Kodak producesse pellicole ha finito per condizionare irrimediabilmente una decisione che avrebbe in realtà potuto consolidare la leadership sul mercato, anziché avviare l’azienda verso la più totale obsolescenza tecnologica. In questo caso, l’azienda americana aveva già in mano la tecnologia che avrebbe cambiato il corso della fotografia.

Mentre i tecnici avevano preso la direzione giusta, la leadership non è stata in grado di anticipare il cambiamento, destinando Kodak al destino che sappiamo. Diverse aziende in questo momento si ritrovano nella condizione in cui si trovava Kodak allora.

Le barriere della cultura data-driven: il parere degli esperti di VMware

La seconda edizione del report Innovating in the Exponential Economy mette in evidenza quelle che corrisponderebbero alle principali data barriers.

Secondo l’83% il problema deriva da una quantità troppo elevata di dati a disposizione, che secondo il 74% coincide con una eccessiva difficoltà ad accedere ai dati “giusti”, mentre il 60% ritiene che il problema sia di natura prevalentemente tecnologica, nell’implementare ed utilizzare in modo corretto ed efficiente le soluzioni disponibili sul mercato.

Secondo Joe Baguley, VP e CTO EMEA di VMware: “L’innovazione non può essere messa da parte, soprattutto in tempi di crisi economica. È qualcosa che scorre nel DNA di un’azienda, che richiede tempo, la giusta cultura, i giusti processi e tecnologie per promuoverla e garantirne il successo. Non si tratta di qualcosa da ostentare, un semplice nice-to-have, ma è ciò che crea un vantaggio competitivo, attrae e trattiene i dipendenti e realizza valore condiviso. Qualsiasi trasformazione, che si tratti di un cambiamento organizzativo radicale o dell’individuazione di nuove modalità per ridurre i costi e ottimizzare i processi, si basa su un’infrastruttura digitale in grado di supportare un processo decisionale informato. I dati fanno questo. Se i responsabili aziendali riusciranno a utilizzare al meglio i dati in loro possesso per prendere decisioni e migliorare la data literacy all’interno dell’organizzazione, saranno altrettanto in grado di superare sfide come le restrizioni in ambito sovranità dei dati, e si troveranno in una posizione migliore per realizzare un vantaggio di business tangibile a partire dai loro investimenti nell’innovazione“.

Per quanto riguarda nello specifico il caso italiano, riteniamo utile citare il parere di Rodolfo Rotondo, Business Solutions Strategy Director VMware EMEA: “Nell’ecosistema aziendale italiano, fortemente eterogeneo e caratterizzato dalla presenza di realtà di dimensioni diverse e con diversi gradi di digitalizzazione, la sfida per una gestione e un utilizzo dei dati efficiente è ancora maggiore. Di contro, siamo fortemente consapevoli che il Paese sia da sempre culla di creatività e innovazione, concepite come vere risorse nello sviluppo sociale ed economico. Per continuare a distinguersi sul mercato, è fondamentale che le aziende implementino i giusti processi e le giuste tecnologie per diventare maggiormente data-driven. Solo in questo modo, e attraverso un intenso lavoro di promozione delle competenze digitali sul territorio che solo una sinergia tra pubblico e privato può realizzare, è possibile concretizzare i tradizionali sforzi di innovazione e raggiungere risultati di business di successo“.

Come superare i data barriers: comprendere e utilizzare meglio i dati e le tecnologie emergenti

I dati aziendali crescono e la capacità di utilizzarli al meglio consente di informare decisioni più consapevoli, individuare strategie più efficaci per sviluppare prodotti e servizi sempre più competitivi in scenari di mercato che variano sempre più rapidamente.

Se non si è in grado di comprendere i dati, nemmeno le tecnologie hardware e software più evolute possono venirci in soccorso. Servono in primo luogo capacità di analisi e competenze specifiche nel guidare le aziende nel loro percorso di trasformazione digitale. Si tratta infatti di una metamorfosi che parte dell’interno, dove si rende necessario un profondo processo di change management, affinché chi in azienda è chiamato a sostenere l’innovazione, sia realmente convinto di volerlo fare.

Una volta definita la volontà di diventare un’organizzazione data-driven occorre capire cosa fare, destinando investimenti adeguati per tradurre l’innovazione in esecuzione, ai fini di colmare il gap a cui abbiamo più volte fatto accenno.

Secondo il professor Feng Li (Bayes Business School, University of London) che ha curato il report sin dalla sua prima edizione, prima di trovare soluzioni è opportuno porsi le domande giuste e cercare di rispondere in base a quelle che sono le esigenze di business dell’azienda. In particolare, il professor Li individua almeno sei punti chiave:

  • Abbiamo un’architettura digitale in grado di implementare in maniera corretta ed efficiente le tecnologie emergenti nei nostri processi?
  • Abbiamo sviluppato una cultura che incoraggia i dipendenti a utilizzare idee data-driven e formare approcci iterativi all’azione?
  • L’organizzazione è pronta ad esplorare le opportunità emergenti, mitigando i rischi senza rinunciare a processi lungimiranti?
  • Gli attuali fornitori di tecnologie, infrastrutture, servizi e competenze sono in grado di garantire al business di rimanere all’avanguardia?
  • Il business dispone delle capacità di prendere decisioni data-driven? In caso contrario, cosa dovremmo fare per acquisirle?
  • Come potrebbe il business sviluppare un approccio proattivo in termini di compliance, capace di tradursi in opportunità di business e generare un vantaggio competitivo?

È evidente che le domande formulate dal professor Li coincidano con gli obiettivi minimi che le aziende dovrebbero raggiungere per colmare il gap tra innovazione ed esecuzione. Appare altrettanto evidente come non vi siano risposte univoche, ma ogni organizzazione debba cercare di rispondere in maniera funzionale alle proprie esigenze.

L’obiettivo nel porsi queste domande è quella di svolgere un’auto valutazione per focalizzare le carenze ed agire in maniera finalmente risolutiva, evitando di trascinare ulteriormente quei data barriers che continuano a condizionare in maniera troppo penalizzante il percorso di trasformazione digitale delle aziende.

Data driven, tutti ne parlano ma quanti sanno usare i dati per innovare? La ricerca di VMware ultima modifica: 2022-08-18T15:12:20+02:00 da Francesco La Trofa

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